MOGLI E SCACCHI OVVERO LA TEORIA DELLE CONVERGENZE PARALLELE

di Ivano Pedrinzani

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La necessaria premessa è che, malgrado i grandi passi avanti, gli scacchi rimangono ancora uno sport prettamente maschile. I motivi? Probabilmente non ne esiste uno solo, realisticamente esiste una certa dose di retaggio storico, ma almeno 2 punti possono dirsi sicuri:

  1. Non è questione di minore capacità come spesso si sente dire da vecchi scacchisti un po’ misogini o in vena di scherzi (come non ricordare la famosa frase di Karpov:  “perché non ci sono donne capaci di diventare campioni del mondo degli scacchi? Perché non sono in grado di stare zitte per quattro ore di seguito”)
  2. Negli ultimi anni il gap a livello elevato si è assottigliato con numerose donne assurte al gotha del gioco professionistico.

Qui però non ci occupiamo degli scacchi ai massimi livelli, ma del gioco di base, quello dei circoli e dei semplici giocatori di categoria nazionale che amano passare le serate in luoghi spesso fatiscenti e polverosi, mimando riunioni carbonare e torturando le già misere capacità del proprio intelletto scacchistico.

Se entrate in uno di questi circoli potete scommettere con buona sicumera di vincere che:

  1. non troverete donne
  2. troverete tanti uomini che tra una partita e l’altra disquisiscono su come giustificare con la legittima consorte il loro ritardato rientro a casa

E qui entriamo nel vivo delle nostre riflessioni.

Visto che il  48,7% degli uomini è sposato (dati Istat), visto che  gli esempi virtuosi di scacchisti sposati con scacchiste esistono, ma sono una percentuale infima (qui non ho il dato Istat e vado a naso), ecco che subentra, per lo scacchista qualunque delle nostre riflessioni, il problema di giustificare perché, invece di stare a casa a preparare la cena, fare una lavatrice, aiutare i figli a fare i compiti, fare piccoli lavori di manutenzione, far sentire alla moglie la propria vicinanza, ecc, ecc (l’elenco non vuole essere esaustivo ma è uno spaccato ben rappresentativo delle più gettonate accuse di provenienza consorte) se ne sta a muovere pezzetti di legno su una scacchiera di 64 caselle a colori alternati.

Di fronte a questi attacchi lo scacchista solitamente dà dimostrazione di una fantasia e di un calcolo combinatorio che, se fosse applicato alla sua passione, comporterebbe immediatamente un  incremento di almeno 100 punti elo.  In tanti anni ho sentito decine di scuse diverse, sempre pronto ovviamente a rielaborarle e renderle spendibili nella mia realtà. Questo perché, come si suole dire, da sempre il saggio è saggio di saggezza altrui; noi scacchisti dilettanti abbiamo quindi un forte senso di complicità tra condannati e ben volentieri rinunciamo al copyright sulle nostre invenzioni.

Spesso troviamo ispirazione anche dall’ambiente esterno. Ricordo una volta che un “collega” (premetto fin da ora che tutti gli aneddoti che citerò sono rigorosamente veri ma altrettanto rigorosamente privi di qualsiasi indicazione sul nome del colpevole…qualche moglie potrebbe leggere) mi disse entusiasta: “ho usato il sistema del Necchi, funziona!” Di fronte al mio sguardo interrogativo ma profondamente interessato (come detto le scuse se ben catalogate rappresentano un preziosissimo bacino comune da riutilizzare) il collega mi ricordò la famosa scena del Necchi interpretato da Renzo Montagnani in Amici miei atto II. Il Necchi vuole andare a fare la classica zingarata con gli amici, ma non sa come ottenere il permesso dalla moglie che gli rimprovera scarso attaccamento al lavoro (la coppia gestisce un punto di ristoro) e le sue frequenti assenze nel menage familiare… immagino che chiunque sia in grado di individuare la profonda similitudine della situazione, similitudine che uno scacchista coglie immediatamente come individuerebbe una rete di matto sulla scacchiera. La genialata di Necchi consiste nel far arrivare alla moglie un mazzo di fiori con bigliettino anonimo su cui è scritto “con ardore”, essere presente in casa quando viene recapitato il mazzo e, sfruttando l’anonimato del regalo, avviare una violenta scena di gelosia. La sfuriata si conclude con un programmato “fammi andare via prima di fare uno sproposito” dopodiché il Necchi esce sbattendo la porta. La moglie rimane lì pensando chi possa essere l’anonimo ammiratore e, sotto sotto, lusingata dalla scena di gelosia del marito, mentre il Necchi corre verso la sua serata di libertà.     

Tanto per rimanere in tema: che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione (l’indimenticabile insegnamento del Perozzi sempre in Amici miei).

Per la cronaca il mio amico precisò anche che il suo budget era inferiore a quello previsto dall’indimenticabile regista Monicelli, per cui se la cavò con un mazzo di tre rose rosse rispetto alle 12 previste nel film.

Attenzione però, come ogni scacchista sa, le scuse posso essere utilizzate al massimo 1 o 2 volte, poi la controparte inizia a calcolare, arguisce lo schema sottostante, trova il controgioco e sono dolori. Insomma anche a scacchi se battete l’amico con il sacrificio tematico in h7 difficilmente poi potrete reiterare con lui lo stesso schema.

Fanno eccezione, e quindi è doveroso citarle, le cosiddette scuse revolving (ovvero utilizzabili quasi all’infinito). Sono le più ambite dagli scacchisti perché diventando tradizione, risolvono le angosce dell’immediatezza e per di più presuppongono scarso impegno creativo …un po’ come dare matto con torre e re contro re, è solo questione di tecnica. Attenzione però, sono anche le più insidiose perché nulla più della routine fa abbassare la tensione e mina la precisione. Volete un esempio? Una sera stavo giocando con un amico e tra una blitz e l’altra, sempre per la serie mettiamo a fattor comune, gli chiesi come aveva risolto per quella sera.  Lui trionfante: “No problem, mia moglie sa che tutti i lunedì faccio tardi al lavoro perché è il giorno che c’è il capo in ufficio”.  Il tono con cui me lo diceva ben rendeva l’entusiasmo di chi sa di essere in possesso di una delle cosiddette scuse revolving da sempre ricercatissime. Ma come detto proprio per il loro carattere abitudinario sono le più insidiose. Ancora oggi soffro ripensando al viso di colpo angosciato del mio amico quando gli risposi: “si certo, però oggi salvo errori è mercoledì”     

La sensazione di uomo al fronte sotto il tiro del nemico ci rende insicuri, tesi, stanchi dall’aver costretto i nostri neuroni ad un sovraccarico di vigilanza e concentrazione (avete in mente come uscite da una partita di scacchi durata 5 ore e finita con un lunghissimo finale di torre e pedoni? Ecco uguale). Tutto ciò comporta a volte l’incapacità di distinguere falso dal vero fino a subire un distacco dalla realtà.

Una sera scrissi una specie di volantino dai toni a mio avviso -lascio comunque a voi giudicare- palesemente scherzosi, perché un vero uomo è conscio che la vita è una tragedia a campo corto ma una commedia a campo lungo e quindi sa ridere delle proprie sventure. In pratica nel volantino, premurosamente affisso in bacheca, si promettevano a pagamento una serie di aiuti agli iscritti assicurati dal consiglio direttivo: Il volantino è riportato qui sotto.

In breve si formò un capannello di persone in lettura mentre io, seduto alla scacchiera, attendevo si un avversario, ma specialmente i complimenti per il mio sottile umorismo. Fu estremamente indicativo che il primo che aveva finito di leggere, fattosi largo tra gli altri correi, si avvicinasse e invece di complimentarsi per le quattro risate suscitate, mi chiedesse estremamente serio (vi assicuro non scherzava ed anzi la smorfia sul viso denotava che era in pieno ragionamento analisi costi benefici) se i prezzi fossero trattabili.

Uno dei momenti di maggiore eccitazione al circolo, molto più di una visita di un Grande Maestro, è poi quello in cui si scopre che l’ultimo iscritto è avvocato di professione. Eh sì, perché allo scacchista medio nei momenti lucreziani di intervalla insaniae, non manca la consapevolezza dell’ineluttabilità di percorsi già scritti (se avete studiato bene una qualsiasi apertura sapete benissimo verso che tipo di struttura pedonale andate e quale sarà il mediogioco che vi troverete di fronte). Uno degli epiloghi possibili (probabili) del nostro comportamento è infatti il divorzio e sarebbe sciocco non arrivarci preparati. Avere un avvocato scacchista che è vicino al vostro dramma, che conosce i vostri peggiori incubi, che siede vicino a voi nella trincea, aiuta e dà se non altro una parvenza di tranquillità. Tanto per rimanere in storia di vita vissuta, fu sicuramente arguto da parte mia (a volte, raramente, anche io trovo la mossa da applausi) proporre all’avvocato D.Z. (ho detto che non faccio nomi, metto solo le iniziali, se lui legge si riconoscerà) una sorta di convenzione, in qualità di matrimonialista, riservata ai nostri associati. Tra l’altro, il professionista in questione, sembra ben scelto avendo in passato già difeso, con successo, un amico scacchista appunto in una causa di separazione.

Voglio comunque spezzare una lancia a favore delle nostre avversarie. Diciamolo, a volte noi scacchisti, spinti dalla passione, esageriamo e il voler cogliere sempre qualunque occasione propizia ci rende vulnerabili al cosiddetto fattore X. Una sera mi chiama un mio compagno di sventura (spero che mi legga perché oggi è in grado di sorridere ripensando all’evento) e mi invita a passare una serata in una birreria a San Lorenzo, ritrovo di alcuni scacchisti. Alla mia domanda sulla genesi di tanta inaspettata libertà mi racconta trionfante che deve andare a riprendere il figlio reduce da una festa di adolescenti all’1,30 di notte. La moglie, conscia dell’estremo sacrificio del consorte, peraltro prontamente ingigantito e reso quasi epico dal nostro eroe tramite sottolineatura della dura giornata di lavoro che l’attendeva l’indomani, gli aveva concesso di uscire prima a bersi una birra. Attenzione anche in queste occasioni lo scacchista sa che nel sottilissimo gioco delle parti è sempre meglio non citare la parola “scacchi”, la moglie comunque aveva già immagazzinato le due informazioni: birreria e scacchi (questa precisazione vi sarà utile nel proseguo).  Insomma il mio amico aveva mirabilmente portato a suo vantaggio l’affetto di una madre che per il bene di un figlio è disposta a qualsiasi cedimento. Mi complimento per l’ammirevole gestione della inattesa opportunità e acconsento, pur premettendo che non potrò rimanere con lui fino a ora così tarda (per me l’indomani era davvero una giornata difficile). Tutto procede secondo i piani: incontro in birreria, inizio della fase giocata e, passata la mezzanotte, mio annuncio che è arrivato il momento di rientrare. L’eroe che vuole assaporare, mai sazio, ogni minuto di quella droga che è la libertà, affermò invece la sua volontà di rimanere lì a giocare fino all’ una di notte con avversari occasionali, presenti nella birreria, in attesa di andare a recuperare il figlio. Vi dico ora come finì, considerate che io seppi il tutto solo la mattina dopo dallo sfortunato protagonista (che chiamerò signor P) e quindi è ipotizzabile che la versione sia stata un po’ edulcorata per coprire le proprie colpe.   Premetto che la birreria in questione è caratterizzata da mura spesse per cui i cellulari sono privi di segnale. Il sig. P, ebbro non di birra ma della sua libertà, continua a giocare dimentico di tutto, di tutti… e del figlio. Verso le 2 guardando per caso l’orologio si rende conto della tragedia. Sbianca, lascia la partita incompiuta (questo particolare sulla partita interrotta non mi fu riportato, ma come detto P probabilmente ha glissato sulle colpe peggiori), si alza di scatto e corre fuori verso la macchina promettendo sacrifici votivi agli dei e pregandoli di aver pietà di lui. Mancava solo un gruppo di coreuti che come nella tragedia greca rimarcassero il suo peccato di superbia.  Nel momento in cui esce torna ovviamente il segnale e il cellulare inizia a suonare come un flipper (l’immaginifico paragone è del sig. P): sono tutte le notifiche delle chiamate fatte dal figlio che dall’1,30 è in mezzo alla strada e non sa che fare e dalla moglie che, allertata dal figlio traditore, lo cerca mentre medita le più truculenti torture. La moglie intanto (questo me lo raccontò lei) non riuscendo a chiamare il cellulare del marito e avendo solo informazioni vaghe (“vado nell’attesa in una birreria San Lorenzo” mentre l’altra parola chiave “scacchi” l’aveva aggiunta di suo per default) inizia a cercare su internet “birreria scacchi” alla ricerca di un numero fisso. Ahimè la scarsa diffusione del nostro gioca comporta che i primi risultati dei motori di ricerca siano semplicemente birrerie che hanno il pavimento a scacchi… immaginatevi la faccia stupita dei gestori dei locali che verso le 2 di notte rispondevano alla telefonata di una donna esagitata che cercava uno che stava giocando a scacchi.

Tutto il racconto di cui sopra è per ammettere che anche noi a volte abbiamo le nostre colpe, ma è altrettanto vero che quasi sempre ci troviamo a combattere con avversari il cui odio per il nobil gioco è ormai sconfinato e rasenta la patologia.

Conosco uno scacchista che per più di un anno ha tenuto segreta la sua passione. La più cara amica della moglie infatti era a sua volta moglie di uno scacchista e tra amiche si sa come va: la seconda raccontava alla prima le inenarrabili nefandezze del marito e la sua colpevole trascuratezza, la prima rimarcava la sua completa comprensione per tale pena. Quando una volta il mio amico stava facendo outing, la moglie -ignara dell’atto di eroismo che stava compiendosi- se ne era uscita ricordando la storia dell’amica e esternando il suo odio per il “passatempo deficiente” del marito della sua amica. La tentazione di outing era subito e prontamente rientrata.

Altri hanno la sfortuna di avere la moglie sempre vigile e sul chi va là (sono le più difficili da trattare) e in grado quindi di rintuzzare qualsiasi tentativo di adescamento. Giocano posizionali, fanno della profilassi il loro mestiere e la loro capacità di prevenire qualunque attacco farebbe impallidire il miglior Petrosjan.  Il marito ti propone una vacanza in una località di mare? Lei pronta chiede se in quel posto è per caso previsto un torneo di scacchi. Tu inavvertitamente per dormire ti metti una vecchia t-shirt con un logo scacchistico? In pochi secondi, prima di comprendere nel suo insieme il meccanismo completo di causa effetto, ti ritrovi a dormire sul divano. Sono le più crudeli, quelle che riescono a punirti per ogni tua debolezza strutturale, che sfruttano ogni tua imprecisione nelle mosse. Tu hai il coraggio di dire solo il sabato sera che la domenica successiva “dovresti” giocare il Cis?  Lei, invece di comprendere il tuo dramma e le tue umane paure, che è un mese che cerchi il coraggio di dirlo, con falsa dolcezza satanica ti dice che l’indomani ha invitato la madre a pranzo… certo se lo avesse saputo prima… (ovviamente detto con un sibilo tra le parole che ti ricorda un cobra pronto all’attacco).    

Con la sagacia tipica dell’uomo emiliano un circolo di Bologna ha provato a ribaltare completamente il piano del ragionamento. Si veda la foto qui sopra. Il garbato tentativo di convincimento è in realtà una figura tipica della retorica classica, la cosiddetta  entimema.  Il retore avvia un processo di deduzioni partendo da premesse non necessariamente vere ma solo verosimili: premesso che il marito a casa vi dà fastidio, è un brontolone, perché voi mogli non lo portate al circolo? Il circolo a modico prezzo (il tesseramento) vi offrirà di fatto un servizio di babysitteraggio per alcune ore. Come si vede si decide di andare direttamente nelle file nemiche (le mogli) e prendere posizione. E’ una tattica ambiziosa, sembra un po’ il pedone bianco “e” che nella Alekhine corre da solo verso le file avversarie e ahimè il più delle volte è destinato a perire ed essere scambiato dopo poche mosse. Sono scettico infatti sull’usare al posto dell’inganno la retorica; di fronte alle nostre mogli per qualche inspiegabile motivo sembriamo sempre un balbuziente che stia discutendo con Demostene. Sono comunque curioso di conoscere i risultati e mi riprometto di telefonare al simpatico Presidente del circolo bolognese per un aggiornamento.

Se siete arrivati a leggere fino a qui le motivazioni possono essere solo due: o temevate di riconoscervi in qualcuno degli aneddoti che avrei elencato (e specialmente temevate che mi  sarei lasciato sfuggire riferimenti utili alla moglie per la sua prossima arringa accusatoria) o vi attendete ora, da chi apparentemente sembra essere esperto nel campo, non dico una soluzione definitiva, ma almeno qualche consiglio utile.

Purtroppo devo deludervi, sono un dilettante come voi e come voi sembro una scialuppa disastrata che lotta in mezzo ai marosi. Tutto quello che posso fare è aprirvi gli occhi su alcuni elementi fuori discussione, visto che l’abbiamo citata, i cosiddetti tekmeria della retorica classica: i fatti sicuramente veri e incontrovertibili.

  1. Gli scacchi sono uno sport invasivo e totalizzante perché presuppongono ore di studio, ore di partite. La tristezza è che più studi, più capisci il gioco, più lo capisci, più ti affascina per la sua complessità, più hai bisogno di tempo per approfondire
  2. La famiglia è una istituzione altrettanto invasiva e totalizzante e presuppone ore e ore di occupazione aggiuntiva

La contrapposizione è inevitabile e la ricerca dell’equilibrio complessa; l’ambizione di mantenere i due comparti separati e conviventi rischia di produrre una marea di bipolari.  Avete presente la barzelletta sul giocatore minacciato dalla moglie? Prima di un turno di un torneo un giocatore incontra un amico e gli svela la sua inquietudine: “domani devo giocare contro un forte avversario, mia moglie ha detto che si è stancata e che se vengo a giocare divorzia”. L’amico premuroso si informa: “e tu cosa hai deciso di fare?”. Breve riflessione del giocatore: “non so, ancora non ho deciso se aprirò e2-e4 o d2-d4 “  E’ il classico esempio di scollamento dalla realtà, stadio finale di un ineluttabile percorso di autodistruzione.

Volete affrontare razionalmente la problematica? Lasciate per un attimo scacchi e scacchiera da una parte, chiudetevi in una stanza, per par condicio lontano dalla moglie, e fatevi le due domande fondamentali: 1) posso fare a meno degli scacchi? 2) posso fare a meno di mia moglie? Avrete già colto che siamo nel più classico degli esempi del cosiddetto dilemma corneliano e se, come temo, le risposte saranno due no avrete la terribile esperienza di veder sprofondare la vostra vita nella tragica situazione dello zugzwang, esperienza che sicuramente avete già vissuto sulla scacchiera, allorché qualunque azione/mossa  pensiate non fa che peggiorare la vostra situazione  

Ivano Pedrinzani

10 ANNI…

10 ANNI…

Riflessioni di uno dei fondatori

a cura di Ivano Pedrinzani

Sono passati 10 anni.  Era il 7 novembre del 2009 quando un gruppo di tre amici dette vita alla Scuola Popolare di Scacchi (allora unicamente sezione della Polisportiva Roma 6 Villa Gordiani), inquadrando in una forma ufficiale e strutturata a quella che era, fino a quel momento, solo una passione delle ore di libertà.

Con gli occhi di oggi (chi scrive è uno dei tre qui sotto) devo dire che tutte le condizioni per una felice genesi erano presenti: una certa spinta a lavorare nel sociale di tutti e tre, figlia della propria formazione, quel pizzico di follia sempre utile quando ci si imbarca in situazioni nuove che non si è per nulla certi di sapere padroneggiare, la voglia di trovare forme di aggregazione.

I soci fondatori: Ivano, Paolo, Massimo. Presto (fortunatamente) si sarebbe unito un altro Paolo

Non lo sapevamo, ma eravamo portatori anche di due fattori aggiuntivi che al momento non consideravamo, perché ritenuti un dato di fatto non apprezzabile né misurabile, quasi scontati, ma che invece ci avrebbero condotto subito su un sentiero di crescita virtuoso e vorticoso, al di là di ogni aspettativa:

  1. l’estrema fiducia tra di noi (ricordo il formarsi della prima piccola cassa che nessuno voleva tenere perché vista come un impiccio)
  2. l’approccio dichiaratamente non lucrativo avendo ognuno di noi una propria vita lavorativa al di fuori di questo settore.

Potrebbe apparire riduttivo ma sono sicuro che quelli furono i due fattori principali che ci portarono in breve tempo ad eccellere nel panorama delle associazioni presenti sul territorio.

L’inaugurazione della Scuola

Da quel lontano 2009 molta acqua è passata sotto i ponti e sarebbe impossibile, oggi, ricordare tutti gli eventi, i corsi, i seminari, ma anche i problemi, le paure, che ci hanno visti protagonisti o -ancora più importante- ricordare le centinaia di bambini che abbiamo avviato al “nobil gioco” con corsi sia presso la nostra sede sia presso scuole pubbliche. Alcune tappe vanno però considerate fondamentali e sono indelebili o perché rappresentano il laboratorio dove è cresciuto il nostro know how, quello che ci ha permesso poi tutto il resto, o perché sono state il viatico per il nostro sviluppo che procedeva a gradini con periodici sussulti verso l’alto.

Con i nostri allievi in trasferta a Latina

Partiamo dal 2010 e dal Festival Internazionale di Farfa: è il primo grande evento che organizziamo. Doveva essere un semplice torneo di una domenica. Lo trasformiamo in un momento di incontro con le famiglie dei nostri allievi con visita guidata al Museo dell’olio, pranzo con una gigantesca tavolata presso un agriturismo, servizio navetta tra agriturismo e sede di gioco. Una mole organizzativa immensa ma anche uno splendido successo sia in termini sportivi (alta e qualificata la partecipazione al torneo) sia in termini di ritorni con le famiglie

Ottobre 2010, Festival di Farfa: organizzatori, giocatori e familiari tutti a mangiare in un agriturismo a metà torneo

Cinque anni dopo, siamo nel 2015, la Federazione inserisce la Scuola nell’ Albo ufficiale delle scuole di scacchi di 1° e 2° livello.  E’ il riconoscimento della bontà del lavoro fatto e qui il GRAZIE va a tutti gli istruttori che si sono avvicendati nelle nostre aule o nelle scuole  con corsi e seminari: dal GM Shytaj, ai Maestri Internazionali Piscopo, Aghayev, Tomescu, Seletsky, al Maestro Della Corte. Ma un grazie particolare va a quegli istruttori, forse dai nomi meno altisonanti, ma dalla grande sensibilità, a quei profili ovvero ideali per la crescita di un bambino che si affaccia per la prima volta a questo gioco. Pensiamo a Bonavena, con noi da sempre, da quando era un allievo, all’amico Prroj (l’unico che gioca le partite del Cis la domenica in pochi minuti perché deve correre a lavorare), al “prof” Fanelli e a tanti altri

Il GM Luca Shytaj tiene una lezione presso la Scuola

Ma torniamo al 2015; in quell’anno decidiamo di sgretolare la leggenda metropolitana sul  mondo degli scacchi visto come qualcosa di avulso dalla vita normale, quasi una riunione tra carbonari, un gioco che si svolge tra pochi adepti in scantinati polverosi. Succede per caso. L’attore Sebastiano Bianco vuole portare in teatro un testo di Stefan Zweig: la “Novella degli scacchi”. Da professionista qual è, non essendo un conoscitore del gioco, oltre a seguire un mio corso, ci chiede una consulenza tecnica per meglio capire ed interpretare il personaggio (protagonista della Novella) del “dottor B”, un misterioso individuo che, durante un viaggio in nave, sfida il Campione degli Scacchi Czentovic e che si scoprirà poi avere un passato tragico. Vittima dei tempi dell’Anschluss, per sfuggire all’annullamento della sua persona durante la prigionia nazista, il dottor B, in un passato che cerca di  rimuovere, si rifugiò negli scacchi passando giorni a giocare partite immaginarie contro se stesso. Il progetto ci piace e da semplici consulenti ci ritagliamo subito un posto di maggior coinvolgimento, con l’organizzazione, a fine spettacolo, di una partita alla cieca ovvero senza pezzi e con i giocatori che muovono tenendo a mente l’evolversi della posizione (esattamente come le partite del dottor B nel campo di prigionia). Mentre da dietro una tenda aggiorno tramite computer, al dichiarare della mossa, la posizione della partita proiettata su un grande schermo ad uso del pubblico, sul palco – spalle alla scacchiera- due nostri istruttori e amici: il Grande Maestro Luca Shytaj e il Maestro Alessandro Della Corte si affrontano nella partita … fortunatamente con animo ben diverso da quello che doveva avere il dottor B nel suo lager nazista.

La locandina de “L’ultimo Matto

Ma il 2015 rimarrà importante anche per un altro evento, ovvero l’insperata fortuna di trovare un compagno di viaggio. L’attività è cresciuta, i progetti sono tanti ma noi siamo sempre in tre. A pensare a tutto, a organizzare tutto. E proprio mentre ci interroghiamo su quanto potrà durare, sul fatto che forse ormai è il momento di decidere se proseguire o come proseguire spunta, come nella migliore tradizione dei film hollywoodiani, la cavalleria. Paolo, papà di uno dei bambini talentuosi dei nostri corsi, non solo ha voglia di fare, ma anche e specialmente lo spessore culturale e organizzativo per fare. Una fortuna inaspettata e un uomo in più con il quale dividere i sempre più numerosi impegni. Rinfrancati, l’ottica muta e si inizia a vedere il tutto con nuovi occhi

Paolo dirige la squadra in una delle iniziative “Scacchi in Piazza”

Il 2016 è l’anno della svolta. La scaramanzia dice crisi del 7° anno, la realtà sarà il concretizzarsi di due passi fondamentali. Siamo cresciuti, abbiamo tanti progetti e bisogno di sponsor; l’inquadramento solo come sezione di una Polisportiva inizia a starci un po’ stretto, Nasce così la Asd Scuola Popolare di Scacchi che, pur non rescindendo i legami con la Polisportiva, è la forma giuridico finale e autonoma del nostro cammino che presuppone però tante nuove problematiche di tipo amministrativo, legale, fiscale; un campo del tutto nuovo per noi, ma la voglia di studiare non ci manca.  Ora siamo pronti anche per dare vita al nostro progetto più ambizioso. A Roma da anni non si gioca più un torneo di levatura internazionale: scarso interesse dell’amministrazione pubblica, alti costi delle location che aumentano a dismisura il rischio per chi volesse cimentarsi nell’organizzazione. I dubbi anche fra noi sono tanti: siamo inesperti, ma qui rispunta quel pizzico di follia che fu l’humus nel quale germogliammo. Uno di noi (Massimo) si fa parte trainante e dove gli altri vedono ostacoli vede solo opportunità. I fatti gli danno ragione: si svolge il I Festival Internazionale di scacchi Roma Città Aperta che si confermerà uno dei tornei più importanti di Italia, l’unico a Roma in grado di assegnare norme. Fattore trainante è l’affiliazione a Csen, ente di promozione sportiva, che crede nel progetto. Il Centro Sportivo educativo nazionale si rileva il partner giusto per le nostre ambizioni: sa ascoltare, ha un budget da spendere per la promozione degli sport, ha voglia di investire negli scacchi. Ma quel che più conta il referente su Roma -Andrea Bruni- si dimostra essere sulla nostra lunghezza d’onda e avere le nostre stesse “sensibilità”. E’ sempre così: ruoli, associazioni, enti rimangono parole vuote e astratte; i contenuti, il carattere lo danno gli uomini che quei ruoli occupano, che quegli enti/associazioni dirigono. In Andrea troviamo qualcuno che occupa un ruolo dandogli consistenza. Il Festival 2016 sarà anche il primo laboratorio di questa collaborazione tra Scuola Popolare di Scacchi e Csen che prosegue ancora oggi.  

Festival Internazionale Roma Città Aperta: la grande sala gioco in allestimento

Lo organizziamo in un albergo a 4 stelle al Pigneto, uno dei quartieri simboli della movida romana e specialmente indimenticabile set all’aperto del neorealismo italiano; lo chiamiamo Roma Città Aperta perché al Pigneto fu girato il capolavoro di Rossellini e perché il nome ben riporta ai nostri concetti di accoglienza e fratellanza. Vengono a giocarlo  da 4 continenti e 31 nazioni diverse ed è un successo senza precedenti.  Alla fine tra i partecipanti conteremo 14 Grandi Maestri e 17 Maestri Internazionali. Tra qualche mese partirà la 4a edizione, e oggi possiamo dire che il Festival Roma Città Aperta è un evento ormai tradizionale nel panorama scacchistico italiano, e non solo, e che rimane di gran lunga il più importante torneo che si gioca a Roma.

Festival Internazionale Roma Città Aperta 2016: Il vicesindaco Frongia fa la prima mossa inaugurale per il  GM Zhigalko

Anche Il 2017 è caratterizzato da un evento fondamentale. Firmiamo un protocollo con il V Municipio e ci proponiamo come Scuola di Scacchi anche per i bambini dell’Infanzia.

La firma del Protocollo con il V Municipio

Non è una banalità, insegnare a bambini di 4-5 anni presuppone istruttori che siano più pedagoghi che scacchisti, strumenti che esulano dalla normale scacchiera da tavolo ma che siano più simili a gigantesche scacchiere da sistemare per terra dove permettere ai bambini di giocare … e rotolarsi. L’iter è lungo: occorre formare nuovi istruttori con l’organizzazione di un corso ad hoc, studiare i metodi applicati in altre città e in altre realtà, verificare gli aspetti assicurativi. Nell’ organizzazione  del corso ancora una volta sarà fondamentale la collaborazione con Csen ed il suo background in ambito formativo. Se Massimo con la firma del protocollo poserà la prima insostituibile pietra, sarà Paolo a coordinare e chiudere il progetto. Come al solito il miglior giudizio, l’unico non autoreferenziato, è quello degli utenti: le lodi di genitori e insegnanti della scuola a fine corso ci scaldano i cuori (e quest’anno siamo al secondo anno di attività anche in questo comparto).

Elena e Giulia, le prime due istruttrici della Scuola per l’Infanzia con il nostro Paolo

2018  Fin dall’iniziola Scuola decise di partecipare al Cis – campionato italiano a squadre- con anche più di un team, spesso comprendenti sia istruttori che allievi. L’approccio è sempre stato fortemente decoubertiniano, con l’aspetto agonistico che veniva oscurato da ben altre finalità: condividere emozioni, rafforzare -grazie alla presenza di un obiettivo comune- la vicinanza e lo spirito che ci unisce.  Nel 2018, complice anche la presenza in serie B di una squadra data dai più favorita,

Raggruppamento serie B, la formazione schierata contro Frosinone: Sibilio, Della Corte, Imbrogno, Bria

organizziamo il raggruppamento di due gironi: serie A2 e serie B. Ci sarà fatale l’ultima partita con una sconfitta che ci relegherà dal provvisorio primo al terzo posto. Non importa. L’anno prossimo saremo di nuovo lì a provarci, mantenendo sempre integro quell’approccio di puro divertimento che fa parte del nostro DNA.

E quando si parla di divertimento, di approccio scherzoso non possiamo dimenticare in che modo, tra pochi mesi, a novembre, festeggeremo il decimo anno di attività. Lo faremo come festeggiamo ogni anniversario da dieci anni a questa parte: con l’ormai tradizionale Torneo del Colesterolo (giunto appunto alla decima edizione). Soci fondatori e amici di più vecchia data si riuniranno per un week end nella mia baita in montagna dando vita, tra sbraciate di salsicce, bottiglie di vino e formaggi di qualità al più pazzo e ricco di aneddoti torneo chiuso che si possa immaginare.

Un momento del Torneo del Colesterolo: in primo piano Ivano con il musicista “Maestro” Ezio, a seguire il sommo Pardo contro Prof Fanelli e Presidente Massimo in un impegno impossibile contro l’oggi GM Luca Shytaj   

L’obiettivo sarà sempre il solito: evitare l’ultimo posto per sfuggire la cerimonia della consegna del cucchiaio e specialmente scampare ai lazzi e le prese in giro che accompagneranno per tutto l’anno (fino alla successiva edizione) lo sfortunato giocatore che porterà a casa il temutissimo feticcio.  Il tutto condito dalle battute fulminanti di uno degli amici della prima ora, una di quelle figure senza le quali la Scuola sarebbe diversa, sicuramente peggiore: l’amico Pardo detto per le

Torneo del Colesterolo: scontro al vertice tra il socio fondatore Massimo e il “sommo” Pardo.

sue perle di saggezza, che generosamente, e gratuitamente, ci elargisce, il Sommo

Il decennale deve essere un momento per guardarsi indietro, tirare le somme e pensare al futuro.  Ma specialmente un momento in cui cercare una morale a tutta questa storia.

La morale (almeno per me, ma sono sicuro di parlare per tutti) penso sia innanzi tutto una. Viviamo in un momento storico nel quale si è persa la voglia di aggregazione e si vive chiusi nei propri egoismi. Si è perso il bisogno di trasmettere idee e informazioni con l’incontro tra persone e si vive passivamente solo sulla rete e tramite quello che sulla rete (falso o vero che sia) viene più urlato. Si è smarrita la voglia di esprimere solidarietà e tolleranza (e anzi è visto come una colpa) e i vincenti sono coloro che non hanno pietà nel preservare i propri (spesso immeritati) privilegi.  Nel nostro piccolo pensiamo che la Scuola (intorno alla quale orbitano ormai in maniera stabile decine di persone) sia un esempio di dove possa portare questa voglia di aggregarsi che è l’associazionismo di base, questa voglia di passare il tempo insieme per confrontarsi, questa voglia di offrire un servizio spesso in situazioni di realtà di disagio fisico/economico. Non abbiate paura di affrontare ostacoli, non temete l’ignoto e provate a creare con le persone che avete più vicino qualcosa che aiuti voi e gli altri. 

Ivano Pedrinzani