Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo la testimonianza di RitaValentini
E’ terminato il secondo anno di corso di scacchi per mio figlio 10 anni con autismo senza compromissione cognitiva.
L’anno scorso aveva seguito insieme ad un bambino coetaneo con la stessa condizione, mostrando molti progressi nel corso dell’anno.
I due bambini avevano imparato le regole base immediatamente alla prima lezione: posizionamento della scacchiera e dei pezzi su di essa, nomi e movimenti dei pezzi, raggi di azione , valore e potenzialità senza nessuna difficoltà né esitazione.
All’inizio mio figlio giocava muovendo solo uno scacco alla volta non esponendo un secondo pezzo se il primo non era perso, ciò perché per lui era estremamente difficile controllare il movimento e le posizioni di più pezzi contemporaneamente, questo era dovuto per lo più alla sua estrema attenzione per i dettagli che gli creava difficoltà nel controllare la globalità della scacchiera. Nel corso dei mesi, con la guida e i suggerimenti del maestro Paolo Andreozzi, ha iniziato ad utilizzare prima due pezzi e poi via via tre, quattro contemporaneamente, controllandone la posizione sulla scacchiera, la relazione con i pezzi avversari e un primo abbozzo di cooperazione tra due. Cosa rimarchevole considerando che si parla di bambini con autismo quindi con un debolezza nella teoria della mente.
Sempre tenendo presente questa caratteristica di base delle persone con autismo è interessante sottolineare che all’inizio i due bambini giocavano l’uno di fronte all’altro consapevoli della presenza dell’altro, ma senza considerare le intenzioni reciproche; avendo chiaro che lo scopo del gioco è dare scacco matto al Re avversario, ma non concependo la necessità di considerare nel proprio gioco quello dell’altro. Con il tempo guidati e incoraggiati dal maestro inizialmente solo a prestare attenzione alle mosse avversarie, poi pian pano a chiedersene il motivo, infine a valutarne la potenzialità sul proprio gioco e a tenerne conto nella mossa successiva. In questo modo, del tutto naturalmente e divertendosi, i bambini si sono esercitati nel leggere e comprendere le intenzioni dell’altro e ad adattare la loro reazione in risposta ad esse.
Sempre incoraggiati dall’insegnante, sperimentando delle varianti del gioco, si sono esercitati nella collaborazione per la vittoria.
Visti i progressi e l’entusiasmo del bambino, abbiamo quest’anno ripetuto l’esperienza lavorando però per ampliare il gruppo e aprendolo anche a bambini a sviluppo tipico. Abbiamo formato un gruppetto di tre bambini che sono stati uniti ai tre iscritti al corso del centro che ci ospitava. Gli altri due bambini del gruppo, pur non avendo mai frequentato un corso conoscevano le regole base del gioco.
La lezione aveva una durata di un’ora e trenta e rispetto all’anno precedente il corso è stato più tecnico.
I bambini hanno seguito con costanza e con impegno e, sebbene avendo costituito un gruppo così eterogeneo non si sia potuto dedicare specifiche attenzioni e tempo alla relazioni e alla socialità come nell’anno precedente, del tutto naturalmente si è costituito un gruppetto affiatato che si è divertito a giocare e ha fruttuosamente imparato. Tutti i bambini sono in grado di giocare una partita con sufficiente competenza, sanno leggere e scrivere le mosse, risolvono problemi di scacchi anche di tre mosse e più. Hanno una discreta capacità di gestire la frustrazione che inevitabilmente nasce dal perdere una partita, chi più chi meno sono anche capaci di autocritica che permette di apprendere dagli errori.
Hanno tutti imparato a salutarsi all’inizio di una partita e a ringraziare alla fine indipendentemente dal risultato nell’ottica del gioco come divertimento.
Ho visto i bambini giocare con altri bambini anche al di fuori del contesto classe divertendosi.
Va sottolineato che non ci sono stati problemi di integrazione di nessun tipo e i bambini hanno giocato e scherzato anche al di fuori della lezione.
Hanno creato un simpatico spirito di gruppo, hanno cercato sinceramente di aiutarsi e supportarsi durante tutto il corso nonostante ci fosse tra loro una leggera competizione per mostrare la propria bravura che si manifestava essenzialmente in commenti per lo più spiritosi durante le partite. La mia sorpresa è stata quella di scoprire che questo spirito “goliardico” aveva contagiato anche mio figlio, altro effetto positivo inatteso.
Infatti mio figlio è riuscito a relazionarsi con tutti i bambini del gruppo, a ben integrarsi, a scherzare e a giocare con gli altri durante e al di fuori delle lezioni e a stringere delle amicizie che proseguono anche a corso terminato. Già questo da solo è un risultato straordinario, frutto di un lavoro costante e integrato portato avanti in questi due anni su più fronti e in tutti gli aspetti di vita del bambino e nel quale il corso di scacchi, sotto la sapiente, competente e attenta guida del maestro Andreozzi, è stato di rinforzo e notevole bacino di sviluppo.
Dal punto di vista tecnico è molto migliorato, questo gli ha permesso di riuscire a terminare le partite anche con delle vittorie producendo degli effetti benefici sulla sua autostima.
Il gioco gli ha fornito la possibilità di esercitarsi nel comprendere le motivazioni e le intenzioni dell’altro, in un contesto ludico e amichevole in rapporto 1 a 1, ma anche di apprezzare i risultati di un gioco di squadra quando dovevano collaborare ad esempio giocando in due contro il Maestro.
La consapevolezza di riuscire e la competenze acquisite gli hanno permesso di affrontare le sconfitte senza sentirsi eccessivamente frustrato, ma riflettendo sulle ragioni del “fallimento” per cercare di correggersi.
E’ molto bravo nell’individuare le sequenze per dare scacco negli esercizi che gli vengono proposti, al contrario nel medio gioco ha più difficoltà, costruire una strategia gli è ancora difficile e tende ad avere un gioco molto conservativo.
Ha imparato facilmente le notazioni per poter trascrivere o leggere una partita di scacchi ed ora è perfettamente in grado di utilizzarle.
Ha fatto esperienza di partite a tempo con l’uso dell’orologio, questo ci ha dato e ci darà l’opportunità di farlo esercitare spontaneamente e con una forte motivazione sulla gestione del tempo.
La sua capacità di “leggere” le intenzioni dell’altro e di adattarsi è molto migliorata, anche questo un notevole risultato preparato su più fronti per lungo tempo e manifestato spontaneamente in ambito di gioco.
Allo stesso modo abbiamo visto manifestarsi una spontanea empatia per i compagni in difficoltà a cui si è spinto in alcune occasioni a dare consigli “tattici”.
All’interno delle lezioni, con la disponibilità e la collaborazione del Maestro, ha potuto persino esercitarsi nel prendere appunti: operazione per lui affatto banale, la cui descrizione meriterebbe un capitolo a parte.
Nel complesso una esperienza positiva e molto fruttuosa sotto diversi aspetti che speriamo di proseguire ed espandere.
Un sincero ringraziamento a quanti hanno collaborato alla realizzazione di questo piccolo progetto: il Maestro Paolo Andreozzi della Scuola Popolare di Scacchi, La Fondazione Una Breccia nel Muro che lo ha patrocinato, l’Associazione Insieme per Fare che ci ha ospitato, il Gruppo Asperger Lazio O.D.V. che ci ha supportato e tutti i genitori che si sono impegnati ad accompagnare e magari aspettare per due ore ogni venerdì per mesi i bambini.
Torneo FIDE BLITZ – Aspettando il Festival Roma Città Aperta
Roma 30 giugno 2019
Regolamento parte integrante del bando di gara
Modalità di gioco: Blitz FIDE (con applicazione dell’art. B4 del regolamento FIDE) con formula Open Integrale. Nove turni con Sistema Svizzero.
Tempo di riflessione:
5 minuti + 3 secondi a mossa a partire dalla
prima.
Sede di gioco:
Padiglione Centro Anziani all’interno del Parco di Villa Gordiani
CALENDARIO DEI TURNI
Conferma iscrizioni e
tesseramento in sala dalle ore 14.30 alle ore 15:00.
Primo turno ore 15:30, gli altri a
seguire.
Al termine del nono turno
seguirà la premiazione.
PREMI
1° 2° 3° ASSOLUTO € 70 € 50 € 40
Fascia ELO
<1900 € 30
Fascia ELO
<1700 € 30
Fascia ELO
<1500 € 30
I premi non sono cumulabili né divisibili. I premi possono essere ritirati, solo durante la premiazione dal vincitore, da un genitore (nel caso di minori) o da persona dotata di delega scritta. In assenza di queste condizioni, il premio è attribuito al giocatore che lo segue nella classifica relativa al premio stesso.
Se il vincitore, o il giocatore a cui viene attribuito il premio, è
l’ultimo in classifica e non è presente, il premio non viene assegnato. Se i partecipanti di una fascia di Elo sono meno di 3, il premio di
quella fascia non viene assegnato. Per calcolare la Classifica Finale i criteri di spareggio sono
nell’ordine: Buchholz Cut1, Buchholz Total, ARO.
ISCRIZIONI
Sono ammessi giocatori italiani e stranieri senza limitazione di Elo. Tutti i giocatori, italiani e stranieri residenti in Italia, debbono essere in regola con il tesseramento FSI. Chi è sprovvisto di Tessera può sottoscriverla in sala al momento dell’iscrizione. I giocatori stranieri devono essere in possesso di ID Fide prima della partecipazione al Torneo.
Quota standard: €
15,00 (quindici/00)
È possibile effettuare la preiscrizione sul sito vesus.org fino alle ore 24:00 del giorno precedente L’iscrizione si
riterrà completa e valida solo dopo il ricevimento della relativa quota.
L’organizzazione si riserva di accettare iscrizioni fino al limite della capienza della sala di gioco ed i materiali da gioco disponibili.
La manifestazione
sarà arbitrata dall’Arbitro Regionale Paolo Andreozzi.
Con la partecipazione al Torneo ciascun giocatore consente la pubblicazione di alcuni propri dati personali (cognome, nome, categoria, Elo) nonché del risultato conseguito, nonché la pubblicazione di proprie partite e foto sui siti web della FSI/FIDE, degli enti
organizzatori.
Per i minori tale consenso è implicitamente dato dai genitori o da chi esercita la patria potestà. Con l’iscrizione si accetta quanto previsto dal presente Bando. Per quanto non previsto valgono le norme stabilite dalla FIDE.
I giocatori diversamente abili con particolari esigenze di gioco sono pregati di avvisare preventivamente l’organizzazione della loro presenza alla
manifestazione.
In sala da gioco è vietato
fumare e la disponibilità di apparecchiature elettroniche nell’intera area
della competizione è soggetta alle regole FIDE.
L’organizzatore si riserva la possibilità di apportare le opportune modifiche, per la buona riuscitadella manifestazione.
Per informazioni è possibile rivolgersi a Massimo Carconi (327 538 9973)
Per gentile concessione dell’Autore, Socio di questa ASD, riprendiamo l’articolo pubblicato nel suo blog www.iltuoapprofondimento.it
La prima volta che sono
salito sulla materassina (tatami, in giapponese) avrò avuto circa dieci anni.
Ricordo ancora quanto dovetti insistere con i miei genitori che proprio non ne volevano sapere di farmi praticare questo sport, all’epoca ancora semi sconosciuto (erano gli anni ’60 ) poiché avevano paura che mi potessi fare male.
Nonostante tutto
riuscii a spuntarla e con mia immensa gioia iniziai la pratica di questa
bellissima e nobilissima arte marziale proveniente dal Giappone.
Purtroppo la palestra
(era una palestra del dopolavoro dei dipendenti del Comune di Roma), chiuse
dopo un anno e solo da adolescente, qualche anno dopo, ne trovai un’altra che
mi piacesse.
Si trattava della
storica palestra Audace, in Via Frangipane (Roma) dove iniziai peraltro a
gareggiare come agonista sotto la guida del M° Aureli.
Dopo qualche anno, una
serie di vicissitudini tra le quali il lavoro, che mi portò a fare da spola tra
Roma e Firenze, mi costrinsero a sospendere la pratica del Judo ma, intorno al
1983, dopo essermi sposato e andato a vivere nella zona est di Roma, mi
iscrissi al Nettuno Club dove insegnava il M° Umberto Foglia.
Pur essendo ancora
giovane e potendo quindi gareggiare, feci la scelta, condivisa anche dalle idee
del M° Foglia, di non lasciarmi prendere da un agonismo esasperato bensì di
vedere il Judo per quello che realmente è: uno sport che lancia un messaggio
altamente educativo che, se colto, può migliorare il modo di vivere e di essere
del praticante.
Infatti, se un
insegnante prepara l’allievo solo dal punto di vista agonistico, nel tempo
probabilmente avrà creato un bravo atleta ma non per questo avrà contribuito a
creare una persona migliore.
Pertanto, ricominciai
innanzitutto ad allenarmi moltissimo (quasi tutti i giorni) ma principalmente
per il piacere di farlo, lontano da finalità esclusivamente agonistiche.
Ricominciai anche a
gareggiare ma sempre dando un’importanza relativa al risultato, ovvero, per me
era importante gareggiare per il piacere di farlo e consideravo la gara un
momento di verifica: se vincevo un combattimento voleva dire che in palestra
avevo lavorato bene ed ero migliorato, mentre se perdevo, questo stava a
significare che qualcosa andava rivisto e avrei potuto fare meglio la prossima
volta.
Nel frattempo erano
nati i miei due figli Simone, nel 1985 e Luca, nel 1989.
Il più grande, che ogni
tanto mi accompagnava in palestra per assistere agli allenamenti, rimase
affascinato da questa disciplina sportiva e mi chiese di iniziarla anche lui.
Lo seguì, dopo qualche
anno, anche Luca e ci ritrovammo tutti e tre sul Tatami, seppur in orari e
turni diversi ma con la medesima passione.
Nel 1993 avvenne un fatto straordinario che rappresentò per me un grande onore: l’allora Presidente della FILPJ (attuale FIJLKAM) Matteo Pellicone, dopo aver preso visione del mio curriculum di Judoka, decise di conferirmi “Motu Proprio” la Cintura Nera 1° Dan di Judo “Quale riconoscimento della Sua pluriennale attività e dei meriti da Lei acquisiti nell’ambito del Judo italiano”
Questo riconoscimento, che per qualcuno avrebbe potuto rappresentare un punto di arrivo, ebbe su di me l’effetto di incoraggiamento a proseguire nell’attività judoistica.
Fu così che, trascorsi
gli anni necessari per passare di Dan, sostenni l’esame per secondo Dan.
In quest’occasione
però, essendo la mia palestra affiliata ad un Ente di Promozione Sportiva
riconosciuto dal CONI, si trattò non del grado Federale ma del grado CSEN
(fermo restando che il programma d’esame è uguale).
Nel frattempo avevo
avuto il piacere di conoscere il Maestro Benemerito di Judo Alberto Di Francia
e cominciai a frequentare la sua palestra (Judo Preneste –Sito Internet
www.judopreneste.com).
Ogni sabato mattina suo
genero, il M° Nicola Ripandelli e il M° Franco Sellari, tenevano presso il Judo
Preneste dei corsi di Kata, la cui conoscenza mi era già stata necessaria per
il sostenimento dell’esame presso lo CSEN.
Questi corsi erano però
particolarmente professionali e decisi di frequentare il Judo Preneste per
prepararmi anche all’esame Federale (sempre per il secondo Dan) e inoltre
all’apposito corso di preparazione presso il Comitato Regionale Lazio FIJLKAM.
Qui, per capire meglio,
bisognerebbe fare una precisazione: tutti i gradi ottenuti presso la FIJLKAM
sono automaticamente riconosciuti dagli Enti di Promozione Sportiva del CONI
mentre tutti i gradi degli Enti di Promozione Sportiva del CONI non sono
riconosciuti automaticamente dalla Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti
Marziali (FIJLKAM).
In buona sostanza,
manca la reciprocità e a mio avviso bisognerebbe fare qualcosa per colmare
questa lacuna. Per questo motivo mi sottoposi nuovamente all’esame per secondo
Dan (questa volta Federale), che ottenni nel 2002.
Successivamente,
desideroso di insegnare questa disciplina, partecipai al corso per istruttori
di Judo dello CSEN (del quale ero già allenatore e arbitro regionale) e
approfittai dell’occasione per sostenere anche l’esame di 3° Dan.
Nel frattempo anche i
miei figli proseguivano nella pratica del Judo diventando entrambi cintura
marrone.
Luca però, decise di
sospendere tale disciplina fermandosi, appunto, a tale grado.
Simone, il più grande,
nonostante alcuni gravi infortuni avvenuti in fase di allenamento, intese
proseguire guadagnandosi in gara la cintura nera 1° Dan.
Io nel frattempo mi
dilettavo nell’attività di insegnamento e creai anche un’Associazione culturale
denominata CISAM (Centro Italiano per lo Studio delle Arti Marziali) di cui fui
nominato Presidente e che affiliai allo CSEN.
Inoltre mi dedicai a
scoprire anche un’altra Arte Marziale, l’Aikido, del quale sono cintura
marrone.
La mia passione, però,
era e resta il Judo e in tempi recenti, dopo aver frequentato un apposito corso
Federale, sono diventato Presidente di Giuria regionale della FIJLKAM.
Questo è, in estrema
sintesi, il mio curriculum sportivo.
Per quanto riguarda
invece gli scacchi, anche in questo caso si tratta di una passione di vecchia
data che iniziò quando avevo tredici anni ovvero nel 1972.
All’epoca, infatti, si
svolse a Reykjavik, in Islanda, il campionato del mondo di scacchi passato alla
storia con l’appellativo di “Incontro del secolo” tra il detentore
del titolo Boris Spasskij (U.R.S.S.) e lo sfidante Bobby Fischer (U.S.A.).
L’incontro, che si
disputò tra l’11 luglio 1972 e il 3 settembre 1972, fu vinto dall’americano per
12,5 a 8,5.
Eravamo in piena
“guerra fredda” e l’incontro ebbe una risonanza mondiale anche
perché, per la prima volta, fu trasmesso in televisione.
Ricordo ancora che io,
alla fin fine piccolino, lo seguii con grandissima attenzione e passione
arrivando anche ad acquistare alcuni manuali (oltre a una scacchiera,
naturalmente).
Purtroppo però non
riuscii a trovare un circolo scacchistico vicino casa e pertanto dovetti, per
forza di cose, abbandonare l’idea.
Tra l’altro, forse non
avrei avuto il tempo materiale di inserire anche questa passione nella mia
routine quotidiana visto che studiavo pianoforte presso il Conservatorio di
Musica Santa Cecilia di Roma dove tra l’altro superai egregiamente sia la prova
di ammissione (sembra strano ma per essere ammessi a studiare uno strumento
bisognava dimostrare di saperlo già ben suonare) che, dopo qualche anno, il
difficile esame di solfeggio e teoria musicale.
Adesso, che ho
sessant’anni e sono finalmente in pensione, sto piano piano ritrovando il
piacere di dedicarmi a tanti hobby (o se vogliamo usare il plurale – cosa
normalmente sconsigliata – potremmo dire hobbies).
Per quanto riguarda il
Judo, dopo una vita trascorsa sul Tatami, ho fatto la scelta di sospenderlo
anche per motivi di salute.
Per ciò che concerne il
pianoforte, mi diletto a suonarlo quando ne ho voglia e tempo a casa visto che
ho un ottimo pianoforte acustico verticale.
Ma dopo tantissimi
anni, grazie anche al prezioso aiuto di internet, ho trovato vicino a casa mia
un bellissimo circolo degli scacchi (Scuola Popolare di Scacchi) aderente alla
Federazione scacchistica italiana (F.S.I.) dove vengono svolti corsi, tornei e
ci si può mettere alla prova e conoscerci meglio giocando liberamente il
martedì sera.
Finalmente, quindi,
dopo circa quarantasei anni sto ritrovando il piacere di avvicinarmi a questa
disciplina anche se, per ovvi motivi, sono per forza di cose un principiante.
Nonostante tutto ho
partecipato con successo al corso per Istruttore Scolastico Divulgativo
promosso dalla Federazione Scacchistica Italiana (aderente al C.O.N.I.).
Frequentando la Scuola
Popolare di Scacchi ho avuto modo di constatare che molti scacchisti non solo
hanno una formazione scolastica superiore (ovvero diplomati ma, ancor di più,
laureandi o laureati) ma spesso provengono da studi di tipo scientifico (non di
rado matematica e fisica) il che sembrerebbe avvalorare la tesi secondo la
quale esiste un forte legame tra razionalità, calcolo e gioco degli scacchi.
Ma da poco ho scoperto
che esiste anche una forte relazione tra scacchi e musica.
Tra l’altro sono
numerosi i musicisti appassionati di scacchi nonché ottimi giocatori.
Si possono citare, a
titolo d’esempio:
– Francois Philidor
(scacchista eccelso del ‘700 ma anche musicista di corte);
– Vasily Smyslov
(cantante d’opera);
– Sergei Prokofiev
(abile compositore e provetto scacchista);
– Maurice Ravel
(1875-1937 – musicista molto noto, tra l’altro per il ‘Bolero’ composto nel
1928);
– Robert Alexander
Schumann (compositore, pianista e critico musicale tedesco). Tra l’altro,
Schumann scrisse: “Nella musica è come negli scacchi. La regina (melodia) ha il
massimo potere, ma il colpo decisivo dipende sempre dal re (armonia)”.
– Ennio Morricone (direttore
d’orchestra e compositore di colonne sonore per film);
Ma anche nell’ambito
della musica leggera molti artisti sono (o sono stati) anche dei buoni
giocatori.
Anche in questo caso
possiamo citare, sempre a titolo di esempio:
– Luigi Tenco;
– Fabrizio De André;
– Enrico Ruggeri;
– Max Pezzali;
– Jovanotti;
– Francesco de Gregori
Molto si è scritto
sulle similitudini tra le due discipline e quindi non voglio addentrarmi e
invito chiunque intenda approfondire di farlo attraverso la lettura di numerosi
testi sull’argomento (molto materiale è anche reperibile su internet).
Comunque sembrerebbe
che in entrambe le discipline entrino in gioco gli stessi processi cognitivi.
Poi non dimentichiamoci
che tutte e due richiedono impegno, dedizione, sacrificio.
Un pianista
professionista, per prepararsi ad esempio a un concerto per pianoforte e
orchestra, studia mediamente nove ore al giorno alternando esercizi come scale
e arpeggi, all’approfondimento della partitura e questo identico sacrificio lo
ritroviamo anche negli scacchi in quanto i professionisti, per gareggiare ad
alti livelli, devono sottoporsi a una rigorosa disciplina pena la perdita del
titolo precedentemente conquistato.
Ad ogni buon conto,
anche nello strumento (ad esempio il pianoforte) la stessa improvvisazione (sia
che si parli di Blues che di Jazz), segue delle regole ben precise di armonia e
quindi richiede un approfondito studio per essere messa in pratica.
Esiste tra l’altro una
relazione molto stretta tra la musica e la matematica e quindi un accostamento
tra quella che è razionalità e sentimento.
Ad esempio, nel suonare
il pianoforte (che è uno strumento percussivo) si pigiano con le dita i tasti
che a loro volta mettono in moto dei martelletti che percuotono le corde
emettendo un suono.
Se noi immaginiamo di
tendere una corda e mettere un ponticello esattamente alla metà, otterremo due
suoni identici ma con ottave diverse (uno più grave e l’altro più acuto).
Se poi questo
ponticello lo mettiamo ad esempio a 2/3 otterremmo un suono che è equivalente
alla quinta della nota precedentemente suonata (se la prima nota era un Si
bemolle, avremo quindi la sua quinta ovvero un Fa).
Mettendolo a ¾ avremmo
un intervallo di quarta (in questo caso un Mi bemolle).
La musica si incontra
con la matematica anche nella ritmica ovvero, ad esempio, una misura di 4/4 è
suddivisibile in ottavi che a loro volta possono essere suddivisi in sedicesimi
e questo ci fa capire la stretta relazione tra le due discipline.
Naturalmente poi
nell’esecuzione intervengono altri fattori come ad esempio delle pause, dei
momenti più forti e altri meno forti, ma la scansione delle misure sarà sempre
e comunque quella basata su concetti matematici.
Se poi parliamo delle
scale musicali (prendiamo a prestito la scala di do maggiore), la sua
costruzione è suddivisa in toni e semitoni e, più precisamente, due intervalli
di tono tra il Do e il Mi (Do – Re e Re- Mi) un semitono (tra il Mi e il Fa) e
infine altri tre toni e un semitono.
Quindi i musicisti
sanno perfettamente che una scala maggiore è composta da 2 toni e 1 semitono
nonché da 3 toni e 1 semitono.
Preferisco al momento
fermarmi qui sulla relazione tra scacchi, matematica e musica perché desidero
ora approfondire un altro argomento che mi sta molto a cuore ovvero la relazione
tra gli scacchi e il judo.
Spesso ho sentito
descrivere la lotta di Judo come una partita a scacchi in movimento.
Non mi ero mai
soffermato molto su questa descrizione ma da quando frequento il mio circolo di
scacchi, devo dire che in effetti vi sono molte similitudini.
La cosa che
immediatamente salta all’occhio è che in entrambe i casi si tratta di un
combattimento che, seguendo determinate regole, porta uno dei due contendenti
alla vittoria, alla sconfitta oppure al pareggio.
Negli scacchi si deve
riuscire a fare prigioniero il Re tramite lo scacco matto e nel Judo si deve
riuscire a sconfiggere l’avversario oppure costringerlo alla resa.
Tecnicamente il Judo
può essere definito come un metodo d’educazione fisica e mentale basato su una
disciplina di combattimento, d’attacco e difesa, a mani nude.
La stessa cosa però
accade nel gioco degli scacchi in quanto viene simulata una battaglia tra il
bianco e il nero.
Il Prof. Jigoro Kano,
creatore del judo amava dire ai suoi allievi:
“Solo
dopo aver tanto combattuto, così da arrivare al di là della nozione di vittoria
e di sconfitta, si aprono le porte di una visione d’amore nella vita. Il
combattimento di Judo è come una vaccinazione contro la violenza: la si
affronta a piccole dosi, la si vince dentro se stessi e infine si acquista la
capacità (o la saggezza) di riflettere nelle diverse situazioni della
vita”.
Esistono poi delle
similitudini che si trovano proprio nel corso dell’allenamento e nella gara.
Ad esempio nel Judo è
fondamentale salutare rispettosamente il Tatami, in quanto luogo della pratica,
il Maestro e, ancor di più, i compagni di allenamento oppure l’avversario in
gara (questo avviene all’inizio del combattimento ma anche alla fine).
Negli scacchi c’è meno
formalità ma prima di un incontro si usa stringere rispettosamente la mano
dell’avversario e augurargli di fare una buona partita.
Nel Judo poi, nel corso
dell’allenamento, non è solo il Maestro che insegna agli allievi ma ogni atleta
con cintura di grado superiore è tenuto a correggere gli errori che nota nel
compagno meno esperto.
Questa modalità di
incontro la sto trovando anche nel mio Circolo e mi sta aiutando a crescere in
modo non indifferente.
Sovente mi sono trovato
a giocare con qualcuno più esperto (diciamo che nei circoli si trovano
facilmente persone veramente preparate che giocano a scacchi da anni e hanno
anche esperienza di gara) e i loro consigli sono preziosi al pari di qualsiasi
lezione teorica.
Un’altra realtà che non
mi aspettavo di vedere è la forte partecipazione alla vita del circolo di
bambini e/o ragazzi che, iniziando da piccoli, potranno sicuramente diventare
dei giocatori molto forti da adulti.
Inutile dire che questa
attenzione nei confronti dei bambini e ragazzi esiste anche nelle palestre dove
si pratica il Judo.
Negli scacchi poi
esiste molta teoria, con lo studio approfondito delle aperture, del medio gioco
e dei finali e poco viene lasciato al caso (anche se naturalmente il giocatore
esperto saprà creare qualche cosa di nuovo nel corso di una partita).
Nel Judo la realtà è
simile in quanto esiste uno studio approfondito delle tecniche di attacco, di
quelle in combinazione, delle contro tecniche e della difesa.
L’atleta di Judo
normalmente segue una sua strategia e, nel corso del combattimento, cerca di
preparare il terreno per mettere in atto il suo Tokui-waza (ovvero la tecnica
preferita, il suo speciale).
Naturalmente più
l’atleta è esperto e maggiore sarà il bagaglio di conoscenze che lo porteranno
a vincere seguendo anche il suo istinto.
Lo stesso accade negli
scacchi in quanto sono ben forti i concetti di strategia e tattica.
Molto conta anche il
lato psicologico che è fondamentale sia nel Judo che nel gioco degli scacchi.
Nel Judo più l’atleta è
esperto e maggiore è la sua percezione della psicologia dell’avversario. Questo
potrà tornargli utile nel corso del combattimento per capire non solo con quale
tecnica attaccare ma anche il giusto momento e le falle nella difesa
avversaria.
Niente di più simile di
quello che accade quando ci si siede di fronte a una scacchiera.
Un’ultima
considerazione desidero farla circa la resa.
Infatti l’obiettivo del
combattimento e quello principalmente di proiettare l’avversario facendolo
cadere con la schiena sul tatami ottenendo una vittoria immediata (esistono
comunque anche dei punteggi intermedi) ma si può vincere anche attraverso le
cosiddette tecniche di controllo.
Le tecniche di
controllo consistono in una immobilizzazione al suolo o “presa” (osae komi
waza), una tecnica di lussazione o “leva” sul gomito (kansetsu waza) o uno
strangolamento (shime waza).
In questo caso ho
notato una differenza tra le due discipline nel senso che spesso anche grandi
giocatori di scacchi, quando ritengono di non poter più proseguire il gioco, lo
abbandonano dichiarandosi sconfitti tramite la resa.
Nel Judo, invece, la
resa è praticamente immediata quando si sta subendo una tecnica di lussazione o
“leva” sul gomito (kansetsu waza) o uno strangolamento (shime waza).
Nessuno vuole che gli
atleti si procurino danni e quindi chi sta subendo una leva articolare oppure
uno strangolamento potrà (anzi dovrà) battere due volte la mano sul tatami
(oppure anche con il piede se gli arti superiori sono bloccati) o anche o
dicendo maitta, che in giapponese significa “mi arrendo”
Per quanto riguarda
invece l’immobilizzazione al suolo, l’atleta ha un certo numero di secondi per
cercare di liberarsi e sono frequenti i ribaltamenti di fronte proprio in
questa fase del combattimento dove da immobilizzato si può diventare colui che
immobilizza.
È per questo che faccio
un po’ di fatica a concepire la resa negli scacchi in quanto vi sono molte
opportunità per arrivare a una patta ad esempio per stallo oppure per ripetizione
di mosse o anche per scacco perpetuo.
Certo, se si fronteggia
un avversario esperto sarà ben difficile indurlo nell’errore ma ritengo, a mio
modesto avviso, che potrebbe sempre valere la pena tentare.
Spero che queste mie
riflessioni siano gradite e attendo volentieri dei commenti costruttivi per
crescere sempre di più nel mondo degli scacchi.